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Zang Tumb Tumb

PAROLE IN LIBERTA'
La prima impressione è quella di trovarsi davanti ad uno di quei fogli scarabocchiati durante una lunga e poco interessante telefonata, invece, stiamo osservando quella che Antonio Lucio Giannone[i] definisce “la principale innovazione tecnico-formale del futurismo in campo letterario.” Normalmente nella pagina di un libro le parole sono “inquadrate, allineate e coperte” , per usare un gergo militare, e le sensazioni trasmesse al lettore sono esclusivamente quelle contenute nel testo, le immagini, quando ci sono, sono staccate, separate, quasi un contorno. In questi “scarabocchi” invece la prima impressione è quella del disordine, del “rompete le righe, della libera uscita” che pone qualche problema a chi cerca di inquadrare l’insieme in una definizione precisa. C’è chi le definisce “parole in libertà”, chi “tavole parolibere”, chi semplicemente “ parolibere”, chi “calligrammi”, chi “poesia visiva” o “verso parolibero” per restare tra quelle più usate. Molto sbrigativamente, anche se non è esatto, queste definizioni sono usate come fossero dei sinonimi. Errore assolutamente perdonabile visto che tutte queste differenti definizione, in fondo, riguardano una composizione poetica in cui la componente grafica non è più un “contorno” del testo ma ne è parte integrante. Questa forma espressiva fino alla fine dell’ottocento non godeva di grande diffusione tra gli artisti , era considerata poco più che un vezzo, uno scherzo, niente di più. All’inizio del novecento, con l’affermarsi e il diffondersi delle “avanguardie” questa forma poetica viene rivisitata e rivalutata per i suoi contenuti antiaccademici, di novità, antitradizionali . Questa ricerca del nuovo, del provocatorio, esponeva spesso gli artisti che vi ricorrevano a battute più improntate all’ironia che all’apprezzamento e, nel caso dei futuristi, anche a giudizi macchiettistici. Giudizi in parte anche meritati vista la spruzzata di goliardia che aggiungevano spesso al cocktail parole e immagini. Di essere considerati macchiette forse i futuristi se lo meritavano ma per altri motivi: per la sterminata sequela di “manifesti” contro tutti, a favore di tutto e su tutti gli argomenti. Di questi manifesti alcuni sono importanti, e ricordati, ma altri, tanti, non hanno, giustamente, lasciato ricordi. Anche le parole in libertà ebbero i loro manifesti , almeno tre e tutti firmati da Marinetti tra il 1912 e il 1914. I primi due godibili ed interessanti, il terzo francamente pesante. Il primo è il “Manifesto tecnico della letteratura futurista” del 1912, il secondo è “Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà” del 1913 e l’ultimo “Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica” del 1914. Il primo viene pubblicato, oltre che in volantino com’era abitudine dei futuristi, anche come introduzione dell’antologia “I poeti futuristi” pubblicata, appunto nel 1912, per le “Edizioni di Poesia”, organo di stampa del movimento. In realtà “Poesia” non era una vera e propria casa editrice, era una rivista ideata e diretta da Marinetti con sede presso la propria abitazione che fino al 1909 ha pubblicato una rassegna critico-letteraria e che poi è diventata una specie di marchio di qualità per le pubblicazioni dei futuristi. “Poesia” era il sigillo di “autenticità futurista” rilasciato da Marinetti, un po’ come la provenienza ‘da allevamenti italiani’ che dovrebbe rassicurarci quando siamo al supermarket. Marinetti interviene nella pubblicazione di questa antologia “I poeti futuristi” con l’avallo delle Edizioni di Poesia e con l’inserimento del “Manifesto tecnico della letteratura futurista” come presentazione. In questo manifesto sono indicati i caratteri fondamentali delle parole in libertà: innanzi tutto la sintassi deve essere abolita, distrutta, e i verbi devono essere usati all’infinito. Anche aggettivi e avverbi sono un retaggio del passato, devono essere eliminati, e stessa sorte anche per la punteggiatura. Dopo aver liberato la poesia da tutti questi orpelli del passato Marinetti indica anche i nuovi elementi che devono entrare nella composizione poetica: il doppio sostantivo, i segni matematici e musicali, il continuo ricorso all’analogia e, qui sta forse il vero salto, le immagini. Il componimento non è più solo un testo, magari corredato da illustrazioni, ma diventa un tutt’uno di parole, segni, immagini. E queste ultime devono anche essere inserite in modo assolutamente disordinato. Non convinto di aver terremotato sufficientemente il modo di far letteratura, Marinetti da uomo di eccessi, arriva ad auspicare che nella letteratura che verrà, vi sia l’introduzione di elementi fino ad allora trascurati quali il rumore, il peso, l’odore e il gusto del “brutto”. Più in generale, per Marinetti, la letteratura futurista si deve opporre all’intelligenza ed esaltare l’intuizione, la “divina” intuizione. Con questi principi Marinetti fa, quindi, un ulteriore salto in avanti anche rispetto al “verso libero” che già alla fine dell’ottocento aveva lasciato per strada i canoni e la metrica della poesia ottocentesca.
Lo stesso manifesto è già una embrionale composizione di parole in libertà: i segni matematici, gli spazi liberi. verbi all’infinito, onomatopee, mancanza di sintassi, punteggiatura casuale anche se l’insieme è ancora “tipograficamente” tradizionale. Dell’abbandono in poesia, della sintassi, delle regole tradizionali e dell’inserimento di una componente grafica però i futuristi non possono vantare né la primogenitura e nemmeno il monopolio. Gia nel 1897 il poeta simbolista francese Stèphane Mallarmè compone il poema “Un coup de dés Jamais n’abolira le Hasard” pubblicato nello stesso anno. Quasi in contemporanea con i manifesti firmati da Marinetti tra il ’12 e il ’14, sempre in Francia, Guillaume Apollinaire compone un poema che titola “Poèmes de la paix et de la guerre” e in un certo senso inventa anche un nome per questo particolare modo di comporre: “Calligrammi”.
Nell’immagine il “Un coup de des” di Mallarmè, una composizione di Apollinaire da “Calligrammes” e una composizione , più o meno coeva, “Sole per poeta di cemento armato” di Kamenskij dell’avanguardia russa. E’ con il manifesto del 1913, “Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà” che Marinetti implementa, come si usa ormai dire, completa il primo manifesto. Ai canoni già descritti aggiunge il concetto di “simultaneità” e di “rivoluzione tipografica”. La simultaneità deve permettere al lettore di abbracciare simultaneamente e contemporaneamente, tutte le diverse sensazioni ed analogie che il poeta vuol trasmettere attraverso il suo componimento. Tradotto in termini cinematografici è necessario passare dal primo piano al campo lungo che abbracci tutto l’insieme. E fin quando il componimento resta ingabbiato, ristretto, nel tradizionale schema delle righe parallele questo non è possibile, è necessario che il poeta possa avvalersi di una varietà di caratteri tipografici. E’ questa la “rivoluzione tipografica” che lo stesso Marinetti definisce “…diretta contro la così detta armonia tipografica della pagina, che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa.”. Per raggiungere questo risultato è necessario…’, è sempre Marinetti che parla, ‘…usare diversi colori d’inchiostro, caratteri tipografici diversi, , una nuova ‘ortografia libera espressiva’ che giunga alla deformazione istintiva delle parole e ad una naturale tendenza verso l’onomatopea.”[ii].
Forse per effettiva adesione ai canoni marinettiani, forse per imitazione del leader, molti furono i futuristi che si cimentarono in questa tecnica. Anche il termine “parole in libertà” venne pian piano a trasformarsi in “tavole parolibere” ed è questo il termine che più viene usato nelle pubblicazioni che si interessano di futurismo.
Grande ricorso alle tavole parolibere fece Francesco Cangiullo che fu, forse, il miglior “prodotto futurista” in ambiente napoletano. Le sue tavole rispecchiano il suo carattere solare, allegro: ”partenopeo”. Cangiullo, futurista della prima ora, fu anche lo storico del primo futurismo, quello delle tumultuose “serate”, poi con il secondo futurismo, imborghesito, se ne allontanò.[iii]
Del secondo futurismo, quello che ha inizio alla fine degli ’20, sono interessanti le tavole di Pino Masnata, chirurgo in sala operatoria che una volta uscitone si trasformava in poeta paroliberista, autore radiofonico, estensore di manifesti sulla “Radia” e sul “Teatro visionico” e volontario nelle guerre intraprese , all’epoca, dal regime. Nelle sue tavole non è possibile non vedere un futurismo che ha perso il gusto per l’impatto violento e che cerca con garbo di rientrare nella normalità.[iv] Accanto a questi “paroliberisti” che potremmo dire d’elite è interessante vedere anche come i tantissimi futuristi “ignoti”, di seconda fascia si siano lasciati tentare da questa forma espressiva, e sono tantissimi . A solo titolo di esempio nell’immagine che segue sono riportate tavole parolibere di Emilio Buccafusta, napoletano e anche lui chirurgo ortopedico; di Luciano De Nardis, pseudonimo di Livio Carloni, poeta romagnolo collaboratore del maestro F.B. Pratella; Jamar 14 pseudonimo di Piero Gigli, poeta emiliano “..anarchico, interventista, medaglia d’argento al valor militare, mutilato e …geometra che non ha mai firmato progetti o perizie…”; Emilio Notte docente all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Con la guerra e la morte di Marinetti il futurismo, che aveva già dato segnali di stanchezza alla fine degli anni ’20 chiude la sua parabola. Nel dopoguerra il futurismo è stato oggetto, almeno nei primi anni, di aperto ostracismo e, se qualcosa è sopravvissuto, oltre alla memoria, ha cercato e trovato altre strade sotto nuove denominazioni.
“Parole in libertà”, “Tavole parolibere” e cose simili sono sparite dal lessico corrente ma non dal nostro quotidiano. Tutti i giorni siamo bombardati , e lo troviamo anche normale, da messaggi, che pensandoci un attimo, sono un po’ una rivisitazione di quel matrimonio parole-immagini per cui i futuristi venivano presi per matti. E l’uso di questa tecnica non è cosa da carbonari, si estende alla luce del sole dalle grandi multinazionali al pescivendolo sotto casa.

Luciano Tumiet

[i] Antonio Lucio Giannone – Ordinario di Letteratura italiana contemporanea presso Università del Salento
[ii] I testi integrali dei tre manifesti sono consultabili rispettivamente su www.classicitaliani.it, it.wikisource.org e www.arengario.it.
[iii] Francesco Cangiullo, nasce a Napoli nel 1884 e muore a Livorno nel 1977. Era il primogenito di undici fratelli di cui uno tra le due guerre fu affermato giocatore nel Napoli.
[iv] Giuseppe Masnata nato a Stradella nel 1901 e morto a stradella nel 1968.