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La cucina futurista

Quando si parla di futurismo si inizia sempre dal solito trinomio Marinetti-Balla-Boccioni, si passa poi all’abitudine di pubblicare “manifesti”, alla conclusione di trovarsi davanti ad un gruppo di scalmanati perditempo e, arrivati qui, la discussione si spegne. Eppure il futurismo fu forse l’unico movimento artistico, e non solo, nato in Italia che nel primo quarto di secolo seppe farsi conoscere anche oltre i confini nazionali. La peculiarità sta nel fatto che quasi tutti i movimenti e le correnti artistiche, fino ad allora ed anche successivamente, erano e sono fondamentalmente settoriali. Il futurismo invece, e lo proclama fin dal suo documento fondativo, si propone di indicare un nuovo modello di vita che coinvolge tutti i suoi aspetti e già questo è un elemento innovatore indipendentemente dal fatto che si sia realizzato e dalle modalità con cui si è cercato di realizzarlo.
Più o meno tutti i movimenti, e non solo artistici, hanno alla base un “manifesto” con cui si dà notizia di esistere e si cerca di delinearne obiettivi e programmi. Per i futuristi la funzione del “manifesto” è la stessa anche se l’uso smodato che ne hanno fatto e i contenuti, spesso trascurabili e con qualche tono un po’ goliardico, hanno contribuito a farne un qualcosa di cui sorridere. Per giustificare quanto sopra sarebbe sufficiente citare solo qualche titolo delle centinaia di “manifesti” che furono pubblicati: “Manifesto futurista della lussuria” del 1913, “Abbasso il tango e il Parsifal” e “Il vestito antineutrale” del 1914, “manifesto della cravatta italiana” del 1933….. Tra questi può trovare ospitalità anche il “Manifesto della cucina futurista” del 1930. Se il futurismo si propone, e propone, un rovesciamento non tranquillo del mondo “passatista” ereditato dall’ottocento, non può esimersi da una delle attività, si voglia o meno, che quotidianamente fanno parte dell’uomo.
Il futurismo ama definirsi nato nel 1909 con la pubblicazione del manifesto su “Le Figaro” e già nel gennaio 1910 si tiene una prima serata futurista al politeama Rossetti di Trieste. Le “serate futuriste” erano una specie di istituzione del movimento. Si tenevano normalmente in teatro e consistevano in declamazioni e rappresentazioni atte a far conoscere il movimento, serate in cui veniva coinvolto il pubblico e che , normalmente finivano in gazzarra con l’intervento dei gendarmi. Il tema della cucina è presente già nel corso di questa prima serata proponendo agli spettatori un menù che “futuristicamente” prevede l’inversione delle portate che sono: “Dolci memorie frappèes,…, Marmellata di gloriosi defunti, Arrosto di mummia con fegatini di professori, …, Spezzatino di passato con piselli esplosivi, Pesce del Mar Morto, Grumi di sangue in brodo, Antipasto di demolizioni…” Dopo questo primo approccio passa un decennio e sulla rivista “Roma Futursta” del maggio 1920 viene pubblicato il manifesto “Culinaria futurista” a firma di tale “Irba futurista” che qualcuno indentifica con la poetessa parolibera Irene Bazzi. In questo manifesto il tema principale non sono le ricette ma un aspetto non secondario della cucina in senso lato: il modo di servire le pietanze. Innanzi tutto bisogna abolire “il cosiddetto servizio completo. (Per 12 o 24 persone di porcellana bianca colla riga bleu o d’oro, tanto caro ai borghesi)… La nostra tavola deve ridere di gioia nella diversità dei rosso-giallo-verdi-azzurro dei piatti grandi-piccoli-ovali-quadri-tondi, che sembreranno ballare una sinfonia gustosa che molto aggradevolmente, stuzzicando al massimo il nostro appetito, vuoteranno il loro contenuto nel nostro ‘dilettato’ non dilatato stomaco” Nel frattempo, nel 1913, in Francia il famoso cuoco parigino Julies Maincave aveva firmato un “Manifeste de la cuisine futuriste” pubblicato sulla rivista “Fantasio”
Nel suo manifesto Maincave esortava gli chef alla sperimentazione gastronomica, rivendicando la necessità di «una cucina adeguata alla vita moderna e alle ultime concezioni della scienza». Le sue teorie erano messe in pratica nel suo ristorante futurista sulla Rive Gauche dove proponeva le sue specialità, ovvero delle «rane riempite di una pasta di granchiolini rosa»; delle «uova affogate nel sangue di bue da servirsi su un purée di patate allo sciroppo di lampone»; dei «filetti di sogliola alla crema Chantilly, spolverati di lische pestate» e il «filetto di bue alla “Fantasio”», realizzato in omaggio alla rivista parigina che lo aveva pubblicato. Marinetti non poteva quindi sentirsi superato prima da un cuoco estero, sia pure parigino, e poi anche da una quasi sconosciuta poetessa futurista e in un certo senso cerca di “mettere il cappello” sulla materia e ripropone, preceduta dalla sua presentazione, la traduzione del manifesto del cuoco francese. Questa riproposizione viene pubblicata sulla rivista “Fiera Letteraria” del maggio 1927. Nella presentazione Marinetti quasi si scusa di questo ritardo ricordando che “Alla vigilia della guerra …. il mio incontro e la mia conversazione con questo geniale artista del palato dovevano essere seguiti dal lanciamento del suo manifesto della cucina futurista perfezionato e completato. Questo lanciamento non avvenne perché Maincave arruolatosi e divenuto cuoco del 90.Reggimento fanteria in linea nelle Argonne non potè più occuparsi di propaganda” Invitato, nel 1930, ad una cena presso il ristorante “Penna d’Oca” di Milano, Marinetti preannunciò la prossima uscita di un manifesto “ufficiale” del movimento sulla materia. Promessa o minaccia che fosse il 28 dicembre del 1931 sulla “Gazzetta del Popolo” di Torino viene pubblicato “Il manifesto della cucina futurista” a firma di Marinetti a cui farà seguito nel 1932 il volume “La cucina futurista” scritto in collaborazione con Fillia, al secolo Luigi Colombo, poeta e pittore futurista. Nel manifesto, Marinetti; propone l’eliminazione delle posate per tutte le pietanze, che diventano “complessi plastici”, che “possono dare un piacere tattile prelabiale”. Propone inoltre di inventare nuovi sapori tramite “pillole, composti albuminoidi, grassi sintetici e vitamine” in modo che “Un boccone potrà riassumere un'intera zona di vita, lo svolgersi di una passione amorosa o un intero viaggio nell'Estremo Oriente”. Ma il contenuto del manifesto su cui Marinetti mette maggior forza è la sua battaglia contro la pastasciutta, “assurda religione gastronomica italiana”, “alimento amidaceo, colpevole di ingenerare negli assuefatti consumatori: «fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo… una palla e un rudere che gli italiani portano nello stomaco come ergastolani o archeologi” Con il manifesto vengono anche proposti nuovi termini, italiani, in sostituzione dei termini stranieri come “cocktail” che dovrebbe diventare “polibibita”, o il “bar” che diventa “quisibeve”, il “sandwich” “traidue”,……
Il sedersi a tavola diventa un rituale in cui gli alimenti devono essere” portati direttamente alla bocca con la mano destra, mentre la mano sinistra sfiora leggermente e ripetutamente il rettangolo tattile; un rettangolo di carta vetrata, mentre i camerieri “spruzzano sulle nuche dei commensali un conprofumo di garofano e, dalla cucina, giunge un violento conrumore di motore d’aeroplano contemporaneamente ad una musica di Bach”.
La cucina, intesa come luogo in cui si preparano le vivande, diventa un vero e proprio laboratorio dotato di “…ozonizzatori che diano il profumo dell’ozono a liquidi e a vivande; lampade per emissione di raggi ultravioletti; elettrolizzatori per scomporre succhi estratti ecc. in modo da ottenere da un prodotto noto un nuovo prodotto con nuove proprietà; mulini colloidali per rendere possibile la polverizzazione di farine, frutta secca, droghe, eccetera;
apparecchi di distillazione a pressione ordinaria e nel vuoto, autoclavi centrifughe, dializzatori….e indicatori chimici renderanno conto dell’acidità e della basicità degli intingoli…” Al ristorante sulla Rive gauche parigina il futurismo italiano contrappone la “Taverna del Santopalato” in Via Vanghiglia a Torino. Al tono semiseri dei manifesti futuristi, peraltro, fa riscontro anche il tono altrettanto semiserio che il giornalista della “Stampa” di Torino usa per annunciare l’apertura del nuovo locale ”Nessuno ignora l’interessamento e le polemiche che agitano il mondo intero, per l’annunciata inaugurazione del Santopalato. L’avvenimento assumerà perciò un’importanza eccezionale, la data del quale rimarrà impressa nella storia dell’arte cucinaria così, come indelebilmente son rimaste fissate, nella Storia del mondo, le date della scoperta dell’America, della presa della Bastiglia, della pace di Vienna e del trattato di Versailles”. Nel corso degli anni trenta la verve rivoluzionaria del “secondo futurismo” non è più quella del futurismo della prima ora: Il movimento tende sempre di più a diventare un’istituzione, il clima politico lascia sempre meno spazio a forme stravaganti di dissenso e anche per la cucina il graduale diffondersi dell’autarchia non prospetta giorni facili. In questi anni l’interesse dei futuristi si sposta verso un ritorno alla natura ed un’alimentazione basata su prodotti regionali genuini fino ad arrivare nel settembre del 1934 ad un congresso, a Milano, organizzato da una “Federazione Nazionale naturista-futurista”. L’anno seguente, a Torino, si tiene la Mostra del naturismo in Piemonte” e della grande rivoluzione resta solo un “invito appassionato” a consumare il riso considerato la risposta futurista alla pastasciutta. Si chiude così il capitolo di questa, senza dubbio secondario tema futurista, che forse riemerge oggi nei piatti e negli accostamenti degli chef “stellati” che ci vengono proposti su giornali, riviste, televisione che nulla hanno da invidiare a quelli del passato, tranne forse, solo un po’ di autoironia.

Luciano Tumiet