Verona e il Futurismo
11 Marzo 2021Da Marzabotto a Monteveglio
11 Marzo 2021
Il luogo: Verona, l’epoca: prima metà degli anni ’70. Più precisamente i giardini pubblici che si trovano dove, venendo da Ponte Pietra, dal lungadige Re Teodorico si stacca l’Interrato dell’Acqua Morta.
L’epoca, come si è detto, è la prima metà degli anni ’70, più vicino al 1970 che al 1975, probabilmente novembre come si può arguire dal grigiore del paesaggio, dalle foglie morte del vialetto e dal cappotto indossato da quelle tre persone che osservano.
All’epoca abitavo in Corticella San Faustino e quando, la mattina, uscivo di casa per andare al lavoro dovevo attraversare questi giardinetti. Di solito non si fa molta attenzione a quello che si vede lungo il ripetitivo tragitto quotidiano.
Ad un certo punto però non potei fare a meno di notare un uomo, anzianotto, che qualche volta da solo, qualche volta assieme a qualche volonteroso e robusto aiutante trafficava, scavava, nello slargo in fondo al vialetto centrale. Dopo qualche giorno cominciai a chiedermi come mai su un terreno del comune ci fossero dei lavori in corso senza la solita coreografia di divise, nastri bianchi e rossi e segnaletica specifica.
Giorno dopo giorno i lavori proseguivano, la buca si allargava, diventava sempre più profonda e attorno cominciavano ad accumularsi dei grandi, non enormi ma grandi sì, massi di pietra levigati.
La cosa cominciata in sordina cominciava ad assumere dimensioni non più trascurabile e in ogni caso non più indegna di attenzione. Eppure tutto continuava come se niente fosse. Qualche volta vedevo qualche pensionato che osservava distrattamente, tanto per passare il tempo. Qualche pensionato ma mai una divisa comunale.
Poi comparve anche una piccole betoniera che gettò un basamento in cemento di forma ottagonale della larghezza approssimativa di due o tre metri ed alta circa un metro. Ancora qualche giorno, il tempo che il basamento solidificasse, ed ecco comparire anche un camion con una gru. I massi che erano posti attorno al manufatto in cemento vennero sistemati come una specie di piramide sul basamento fino a raggiungere un’altezza di circa quattro metri, non una cosa da poco o che si potesse pensare essere considerata come momentanea.
Anch’io, come i pochi pensionati perditempo frequentatori dei giardinetti, cominciai a fermarmi per cercare di capire cosa stesse crescendo come un fungo di qualche tonnellata. L’uomo, chiamiamolo ora direttore dei lavori se non architetto, proseguiva imperterrito nella realizzazione del suo progetto, assolutamente indifferente alla mia curiosa presenza quando mi fermavo a guardare.
La “cosa” si allargò fino a comprendere un cordolo di pietra circolare alto una decina di centimetri che racchiudeva il tutto e su questo una robusta cancellata in ferro per un’altezza di un paio di metri.
Il tutto diventava sempre più evidente ma segnali di una qualche attenzione non se ne vedevano.
I lavori proseguivano e finalmente, almeno per me, sulle otto facce dell’ottagono di base cominciavano ad apparire delle targhe.
Alcune di questo erano delle specie di carte geografiche della zona alpina e pedemontana, dei pannelli con ricostruzioni, non so quanto attendibili, degli eventi geologici della zona.
Qualcuno di questi pannelli-lapidi portava delle didascalie abbastanza “normali” come “BASALTI VULCANICI DEI Le ESSINI” oppure “BACINO GEOLOGICO DELL’ADIGE” o problematici, almeno per me,come: “ACME GHIACCIAIO ATESINO”.
Una targa oltre alla funzione esplicativa si lasciava andare a considerazioni meno tecniche come quello che illustrando la Vallagarina che sbocca nella Valpolicella in cui l’Adige, o il giacciaio, diventa “FIUMANA LARGA PARECCHI KM” e continua con un “ODI RUGGITO DI IMMANI / POTENZA L’ADIGE RISSIANO / SI SCARAVENTA IN PIANURA” a cui si aggiunge la profezia che “ QUI IL MASSO RISORGERA’ /. QUI VERONA SORGERa’ / BEN FEDELE MI SARA’ / L’AMOR MIO BENEDIRA’’”.
A queste targhe che potevano anche catalogarsi come schede tecniche ne erano aggiunte altre che dovevano dare informazioni sulla natura di questi massi di pietra.
Una di queste spiegava che queste grandi pietre erano ”MASSI ERRATICI ATESINI DISPOSTI / NELLA NOSTRA PIANURA DAI / FLUVIALI ICEBERG DERIVANTI / DALLE GRANDIOSE SERACCATE / ALPINE – DURANTE LE IMMANI / ALLUVIONI DEL DISGELO RISSIANO”.
Un’altra forniva ulteriori informazioni su questi massi in forma di dialogo:
!HO! CHI SEI? – SON’UN GLACIAL MASSO ….ERRATICO.
ERRATICO? CHE VUOL DIRE? – BOLOCCO …VAGABONDO.
AH! E COME TI CHIAMI? – EL PIERON DE BOVOLON.
DI CHE ROCCIA SEI? – DURO PORFIDO QUARZIFERO.
CHI T’HA FATTO? – ERO LAVA ARDENTE DI VULCANO.
DONDE VIENI’ – DAL MONTE RENON DI BOLZANO
CHI T’HA PORTATO? – IL GHIACCIAIO E POI UN ICEBERG.
PER QUANTI KM? – MOLTI, UN TOTALE DI QUASI 200.
IN QUANTI ANNI? – 50 LENTI E POI UNA CORSO FOLLE.
CHI T’HA FATTO TONDO? – SUL GHIACCIAIO…ALLUVIONE…ROTOLIO.
CHI T’HA SEPOLTO? AIME’!LE SUSSEGUENTI ALLUVIONI.
QUANDO VENISTI? – BEN PRIMA D’ADAMO: 2500 SECOLI FA.
PERCHE’? – COSI’ DIO VOLLE PER VOSTRA BENE (illegibile).
Per completezza di informazione una terza targa spiegava il perché di quella istallazione : “ SCIENTIFICO SINGOLARE TRIBUTO D’AMORE DI VERONA ALLA TERRA NATIA: RIVELAZIONE DI UNA STUPEFACENTE TESTIMONIANZA DEL PIU’ GRANDIOSO FENOMENO GEOLOGICO DELL’ERA QUATERNARIA SVOLTO PER LA SVOLTA(?) 2500 SECOLI FA.”
La cosa nel suo insieme, le dimensioni ed anche l’indifferenza che sembrava circondarla spinse a fare delle fotografie e, penso, l’intuizione venne al momento giusto perché dopo qualche giorno una ruspa, del comune, sradicò il tutto.
Restano solo queste vecchie fotografie a testimoniare un qualcosa che, se raccontato senza il supporto delle immagini, difficilmente sarebbe creduto.
Non ero e non sono un lettore de “L’Arena” ma in quei giorni, se mi capitava, sfogliavo il giornale per vedere se in qualche trafiletto a fondo pagina si parlava di qualche metro cubo di sassi e cemento sorto dal nulla in città oppure della sua demolizione. Non trovai nulla.
Certamente non era un monumento di cui la città potesse darsi vanto ma perché accorgersene a cose fatte?
Luciano Tumiet