“ Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una nuova bellezza: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo…un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.” L’affermazione di Marinetti nel Manifesto Futurista del febbraio 1909 è, e non poteva essere diversamente, provocatoria, sopra le righe e come scrive Maurizio Scudiero “…mette a confronto un prodotto della tecnica rumorosissimo e puzzolente con la Vittoria di Samotracia, una vera e propria eresia per l’epoca.”[1]. Ma i toni pacati e riflessivi non sono mai stati patrimonio dei futuristi men che meno per quelli della prima ora.
La metafora che usa Marinetti per questo nuovo valore, la velocità, è l’automobile che manterrà questo monopolio fino all’avvento del mezzo aereo. Nel manifesto futurista la componente poetica prevale su quella sostanziale, già nel preambolo ai punti fondamentali del programma futurista Marinetti immagina di avere avuto la “folgorazione” nel corso di una scorribanda automobilistica finita in un fossato, episodio del tutto frutto della fantasia anche se egli fu veramente protagonista di qualcosa di simile. Marinetti non fu mai un cultore dell’automobile e l’unica sua esperienza prima di rinunciare definitivamente a guidare, risale ad un anno prima della pubblicazione del manifesto.
Essendo Marinetti persona molto facoltosa nell’ottobre del 1908 acquistò una Isotta Fraschini e al volante della “appena sua” macchina Gran Lusso, che poteva raggiungere gli 80 Km/h, andò a finire in un fosso pieno d’acqua e solo per l’intervento di alcuni operai riuscì a liberarsi dalla pericolosa situazione.[2]
Il considerare l’automobile, e poi l’aereo, come simbolo della velocità in realtà fu una forzatura, almeno all’epoca, in quanto il nuovo mezzo che si stava affermando era prerogativa di una ristretta fascia di persone abbienti e allontanandoci dai grandi centri urbani la maggior parte delle persone non ne aveva ancora vista alcuna.
Forse nel 1909 il mezzo meccanico in grado di fornire “velocità” non era l’automobile quanto invece il “treno” che già da tempo aveva raggiunto una accettabile funzionalità e diffusione. Ma nonostante questo aspetto il treno si vide sempre rubare dall’automobile la parte di primo attore sulla scena.
E’ interessante anche come, l’intuizione di questa “bellezza della velocità”, non possa attribuirsi solo a Marinetti e ai suoi seguaci. Già nel 1902 Mario Morasso esaltava questo valore nella sua rivista “Il Marzocco” e il suo riferimento non era l’automobile ma più realisticamente il treno. “…quando io guardo un treno merci o un treno omnibus che lentamente e con un acre frastuono di ferraglie si trascina di stazione in stazione, quasi a riprendere fiato per la fatica della breve corsa barcollante, non sento certo in me alcuna ragione di compiacenza, bensì una specie di fastidio e una tendenza a schernire quel ridicolo arnese. Ma ben diversa è l’impressione se in una immensa stazione rumorosa e affollata io scorgo nell’atto della partenza o dell’arrivo la grande e allungata locomotiva da direttissimo , che con le sue leve poderose e lucenti sotto il suo fianco gonfio trae senza sforzo dietro a sé i pullman lunghi e arrotondati ....la visione di questo spettacolo grandioso di questa fuga vertiginosa che sorpassa nella sua realtà furibonda i rapimenti e voli prodigiosi di tutte le leggende “.[3]
Il treno, quindi, che nell’immaginario pantheon futurista passa in secondo piano rispetto all’automobile, ma anche per quest’ultima arriveranno momenti difficili con l’avvento dell’aereo che riuscirà addirittura a proporsi come punto di riferimento del movimento e vedrà l’affermarsi dell’aeropoesia e aeropittura degli anni ’30.
Se è vero che la parte di prima donna è stata rubata dall’automobile è altrettanto vero che il treno e tutto quanto girava attorno ad esso è riuscito a ben restare sulla scena futurista. Il treno è presente nel manifesto pubblicato su Le Figaro “…noi canteremo […] le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavallini d’acciaio imbrigliati di tubi…” è spesso presente nei quadri dei pittori futuristi, e l’ambiente ferroviario delle stazioni è stato oggetto di composizioni poetiche.
Una descrizione di un viaggio in treno è oggetto di un capitolo del romanzo di Marinetti “L’alcova d’acciaio”.[4] Marinetti sta tornando dal fronte in treno e riferisce di una sua sosta alla stazione di Verona e della sua ripartenza il giorno successivo con immancabile avventura galante: la moglie Benedetta ancora non è apparsa al suo orizzonte. “…L'indomani sera in treno per Verona leggo il trionfale comunicato di Diaz : « Dal Montèllo al mare, il nemico sconfitto ed incalzato dalle nostre valorose truppe, ripassa in disordine il Piave. Alla stazione di Verona quasi buia mugola asserragliato e ribollente uno dei reparti d'assalto che va a riposo. Odore acre e mordente di belve vittoriose. Ballano nelle corse e nei gesticolamenti i fiocchi dei fez neri tra il vociare turbinoso, le gomitate e gli spintoni. Hanno occupato il caffè della stazione.
Si intravede un rimescolio di braccia nude stantuffare e rubinettare fiaschi di vino e bicchieri di birra, fra una fantasmagorica agitazione di luci azzurre e di ombre caricaturali. Ogni discussione sembra una. rissa. Tutti si pigiano. Fame e sete azzannante e arraffante nel buio. Grandinare di bottiglie, bicchieri. Bestemmie degli ufficiali presi nei vortici della folla grigia-nera che non cede, resiste alle lente sbuffanti locomotive in manovra coi meccanici che si sporgono gridando.
Mi sento chiamare. E' il colonnello Trivulzio alto montanaro dal viso sessantenne alcoolizzato ma solidissimo, occhi giocondi vivacissimi, pipa in 'bocca. Ha lasciato il- suo reggimento di fanteria 'per il comando di un reparto d'assalto…… All'alba nello scompartimento di seconda classe che mi porta a Modena trovo finalmente il Premio che mi offre la Patria. Un' italiana veramente bella. Bruna, delicata, morbida e flessuosa. Trentenne, con occhi capelli e denti eccezionali….. Deve passare la giornata a Modena senza scopo per raggiungere la sera stessa una villa fuori di città. Invito la bella a colazione. Esita. Ma le forze mi sono favorevoli. Non si può veramente rifiutare nulla a un 'soldato vittorioso.”
La stazione di Santa Maria Novella è protagonista come luogo finale della famosa lite, o meglio scazzottata, tra futuristi iniziata al Caffè delle Giubbe Rosse di Firenze a seguito di alcuni articoli critici pubblicati da Ardengo Soffici su “La Voce”. I futuristi milanesi decisero di sbrigare velocemente la questione e “….fu una vera spedizione punitiva, che mi fu raccontata da Boccioni e, più tardi, da Soffici. I futuristi appena arrivati a Firenze vanno al Caffè delle Giubbe Rosse, dove sapevano di trovare Soffici, Papini, Prezzolini, Slataper, e tutti redattori della Voce. Boccioni domanda ad un cameriere: «Chi è Soffici?»; sull'indicazione ottenuta si avvicina Soffici e senza spiegazioni gli appioppa un paio di schiaffoni; Soffici per niente smontato si alza risponde con una scarica di pugni. Parapiglia generale, tavole seggiole per terra, bicchieri rotti e questurini che portano tutti al commissariato.
Per fortuna caddero in un commissario intelligente che capisce con chi aveva a che fare; visto che Soffici e quelli della Voce non volevano far querela d'aggressione, li rimandò tutti fuori come se niente fosse stato…. I futuristi, vendicate le ingiurie, andarono alla stazione dove un treno, pressappoco a quell'ora, doveva riportarli a Milano. Ma quelli della Voce, malgrado si fossero ben difesi, non erano contenti affatto, perciò si recarono in fretta anch'essi alla stazione. Mentre il treno stava per arrivare ebbe luogo un altro incontro, e un altro violento pugilato, che, per poco, faceva restare a piedi futuristi. Ma fecero in tempo a prendere il treno, un po' ammaccati, ma soddisfatti.».[5]
Il treno o l’ambiente delle stazioni è presente anche nelle opere figurative dei futuristi.
Nello spettacolo futurista della velocità sono, dunque, l’automobile, e poi l’aereo, al centro della scena ma uno spazio viene dato anche al treno. Forse nell’immaginario futurista la velocità è meglio rappresentata dall’automobile, più leggera, scattante libera, individuale che non dal treno che richiama una velocità solida, potente su dei solidi binari.
Per quanto riguarda l’arte figurativa molti sono stati i futuristi che si sono cimentati sul tema.
Le ‘parole in libertà’ o anche ‘parolibere erano una forma espressiva, in cui la narrazione si combinava con la rappresentazione, particolarmente cara ai futuristi che la consideravano quasi un loro monopolio. Qui sotto due ‘parolibere in cui è presente il treno. La prima è di Marinetti è si riferisce al periodo del ‘primo futurismo’ mentre la seconda è di Bruno Giordano Sanzin, triestino, del ‘secondo futurismo, anni ’20 e ’30.
Le stazioni ferroviarie sono anche oggetto di progetti di architetti futuristi. Nelle due illustrazioni che seguono la prima è di Antonio Sant’Elia e la seconda di Virgilio Marchi. In entrambe è difficile, per le tecniche e i materiali dell’epoca, stabilire un confine tra la componente tecnica e quella fantastica.
Umberto Boccioni affronta il tema del treno in due modi diversi legati a due diversi momenti della sua evoluzione pittorica. Nel primo, del 1908 precedente la sua adesione al futurismo, il treno è inserito in contesto dove a prevalere è la ricerca della luce realizzata con la tecnica divisionista. Nel secondo quadro il treno diventa strumento per la rappresentazione, quasi astratta, di sensazioni altrimenti impossibili da fissare su una tela. Quest’ultimo quadro, del 1911, dal titolo ‘Gli adii’ fa parte di una serie che lo stesso Boccioni chiamerà degli ‘stati d’animo’. La presenza del treno nel quadro è facilmente individuabile nel numero centrale e nel muso conico , tipici nelle locomotive e sul vapore/fumo che sovrasta il tutto.
Altri grandi del futurismo si sono confrontati con il tema del treno, ovviamente con finalità e risultati diversi. Nel ‘Velocità + luci’ del 1913, il treno in quanto oggetto in movimento offre a Giacomo Balla la possibilità di mettere sulla tela le sue ricerche su dinamismo e simultaneità. A differenza dei cubisti che analizzano il soggetto da diverse prospettive ma in ogni caso in una situazione di staticità, i futuristi lo analizzano nei diversi momenti del suo divenire. Nel quadro di Fortunato Depero, ‘Il treno partorito dal sole’ del 1924, il treno è inserito nel mondo fiabesco della sua ‘ricostruzione futurista dell’universo’.
La forza, la potenza, della locomotiva vista di fronte che sembra inarrestabile è l’interpretazione del treno che ne dà Roberto Iras Baldessari. I quadri che seguono sono stati realizzati tra il 1916 e il 1920.
Il treno inserito im un contesto urbano di una grande metropoli e il treno come parte attiva in un contesto bellico sono i temi che Gino Severini porta sulla tela. I titoli sono “Treno armato in azione” , “Treno della Croce Rossa attraversa un villaggio” e “ Treno Suburbano entra a Parigi”. Sono tutti tre del 1915 periodo in cui Severini viveva a Parigi
Pippo Rizzo è la figura di maggior spicco del futurismo in versione siciliana. I due dipinti, “Treno notturno in corsa” e Treno in corsa” sono stati realizzati tra il 1926 e il 1929. Nelle due tele di Rizzo, pittore del secondo futurismo, viene riproposta l’interpretazione di movimento e simultaneità che in periodo ‘di primo futurismo’ fu di Balla.
Sempre del gruppo siciliano di pittori futuristi fa parte Giulio D’Anna che nasce in provincia di Enna nel 1908. La sua produzione è quindi databile nella seconda parte degli anni ’30 quando lascia lo stile simultaneo degli altri futuristi siciliani e si orienta verso l’aero pittura che in quel periodo comincia ad affermarsi
Vittorio Corona faceva parte di quel gruppo di futuristi siciliani che veniva chiamato il “Triangolo siciliano d’avanguardia” formato da Pippo Rizzo, Giovanni Varvaro e, appunto, Corona. Il suo stile come quello di Pippo Rizzo, ed anche di Giulio D’Anna, risente degli studi sulla simultaneità di Giacomo Balla.
Luigi Russolo, per chi si interessa di futurismo, è forse più conosciuto come legato alla musica che non alla pittura. E’ Russolo l’inventore degli ‘intonarumori’, grossi scatoloni con una manovella in grado di generare fischi, stridii, gracidii ed altro. Nel primo dei due quadri Russolo non si discosta dall’interpretazione di Balla mentre nel secondo è evidente una sua predisposizione, mai negata, all’occultismo.
Nell’ultima illustrazione sono riportati i quadri “ferroviari” di tre futuristi, tutti del secondo futurismo, generalmente poco conosciuti. Il primo è di Angelo Caviglioni animatore e riferimento del ‘gruppo futurista’ bolognese. Il secondo è di Ivo Pannaggi, architetto e scenografo marchigiano e l’ultimo è un carboncino di Orazio Toschi del gruppo di Lugo di Romagna formatosi attorno a Francesco Balilla Pratella.
Aprile 2019,
Luciano Tumiet
[1] Maurizio Scudiero - “Il Futurismo, la velocità e l’automobile” Conferenza tenuta a Milano per AISA, Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile - 2009
[2] Giovanni Lista. “Le due anime di Marinetti” - 2009
[3] Mario Morasso. “Scritti sul Marzocco 1897-1914” – Printer Bologna 1990.
[4] F.T. Marinetti. “L’alcova d’acciaio”. Scritto tra il 1919 e il 1920, pubblicato nel 1927.
[5] Gino Severini. “Vita di un pittore”.Milano 1946.