Che, oltre a “ragioniere e maestro”, fosse anche poeta al di là delle lapidi è cosa che nessuno può mettere in dubbio ma qualche biografo e studioso di futurismo, sembra attratto anche da altri “… a volte strani comportamenti, beveva e inneggiava al vino.”. Antonio Castronuovo, cronista e studioso di futurismo in Romagna, sembra particolarmente interessato a questo aspetto di Folicaldi al punto che fornisce anche dei dettagli sul locale, il “caffè della Chiarina” di Via Baracca, in cui il poeta effettuava le sue performances enologiche.
Riporta anche che “…poiché all’epoca i termini futurista e matto erano sinonimi...”, per la verità anche oggi le cose non sono molto cambiate, “…quando Folicaldi passava per le vie di Lugo in bicicletta era guardato con ironia e diffidenza.”. E parlando di bicicletta riporta un aneddoto che aiuta a comprendere questo strano personaggio. “Sotto i fumi alcolici Folicaldi sosteneva che la sola linea concepibile fosse la retta, e la curva fosse un’invenzione: dopo averlo fatto bere, una notte gli amici lo condussero con la bicicletta sotto il Pavaglione e lo pungolarono a dimostrare la sua teoria di fronte ad una colonna: la prova naturalmente si concluse con Folicaldi a terra e la ruota della bicicletta deformata.”
Questa sua propensione è ricordata anche dallo stesso Marinetti nel suo collaudo, prefazione, alla pubblicazione di “Nudità futuriste” del 1933, in cui rievocava in questo modo una famosa serata futurista, al Teatro Verdi di Bologna nel 1924:”…Sotto di noi la platea del Teatro Verdi di Bologna sembrava l’immenso e tonante vaso da notte del diavolo. Alceo Folicaldi trasformava le libazioni, godute in treno con l’ansia di rivedermi, in gridi alternati con strofe delicatissime di autentica poesia che egli voleva ad ogni costo inoculare nelle mie orecchie assordate.”.
Ancora Marinetti, nel 1941 nella prefazione di un altro libro, racconta che “…il poeta futurista Folicaldi , spirale di zazzere occhiate lunghe a pendolo calamitate dal vino e dalla poesia, entra sul palcoscenico , abbraccia me, attori, attrici, scivola e piomba sui leggii dell’orchestra. Ma risale subito a galla nella prima fila delle poltrone che ricolora di rosso fra seni nudi, spalle incipriate, sparati di marsine/ egli annaspando scolpisce e tenta di riscolpire una signora il cui marito a molla pum lo scaraventa a terra/ D’un balzo Folicaldi gli rischizza in / faccia / miscela capitomboli / rotoloni.”
Fermandosi a questi episodi non si può non avere l’impressione di essere di fronte, più che ad un poeta, ad un anticipatore del Paolini, disturbatore televisivo, ma Folicaldi fu veramente poeta, poeta anche innovatore, ma pur sempre fuori dagli schemi. Una sua caratteristica era quella di scrivere, comporre, quasi dimenticarsi e poi pubblicare magari a distanza di anni. E ancora, pubblicare le sue cose e poi ripubblicarle a proprie spese.
Le sue prime opere del 1918, “Imbastiture” e “Frammenti”, saranno pubblicate solo nel 1922 e 1925 quando già Marinetti lo aveva annoverato tra i poeti di cui erano apparse tavole parolibere.
“Nudità futuriste”, di cui si è già citata la prefazione di Marinetti, è una raccolta di componimenti realizzata nel 1923 ma che vedrà la pubblicazione solo nel 1933.
Il poema parolibero ”L’autunno futurista” viene inserito, nel 1925, nell’antologia “I nuovi poeti futuristi” delle prestigiose edizioni di “Poesia” dirette da Marinetti. Nello stesso anno la rivista “Noi”, diretta da un altro “grande” del futurismo, Enrico Prampolini, pubblica “i piccoli segni di Afrodite”, collezione di brevi prose liriche composte cinque anni prima, nel 1920.
“Arcobaleni sul mondo” è una raccolta di “versi liberi” composta a cavallo tra il 1920 e il 1921 che Folicaldi, dopo la pubblicazione per le edizioni “Poesia” nel 1926, fa ristampare per meglio curare l’impaginazione, presso tipografie di Lugo. Bisogna tenere presente che l’impaginazione nel caso di Folicaldi, autore di tavole parolibere, è tutt’altro che aspetto secondario.
Le “tavole parolibere” sono un’intuizione futurista in cui il contenuto della poesia deve fondersi con i caratteri e la disposizione delle parole sulla pagina.
Si tratta di una forma artistica di cui Sabrina Carollo, nel suo “I futuristi”, scrive: “…lo stesso Marinetti le ritiene analogie disegnate in cui il senso della parola è descritto anche graficamente dal modo in cui la parola è disposta. L’immagine aggiunge forza e pregnanza alla parola, sottolineandone il significato.”.
Visto che è destino che quanto è futurista debba anche essere ironicamente commentato vale la pena di riportare quanto scrisse Tristan Tzara, padre del dadaismo: “Prendete un giornale. Prendete un paio di forbici. Scegliete un articolo che abbia la lunghezza che desiderate dare alla vostra poesia . Tagliate ancora, con ogni cura, ogni parola e mettetele in un sacchetto. Agitare dolcemente. Tirate fuori le parole una dopo l’altra e disponetele nell’ordine di estrazione . Copiatele coscienziosamente. La poesia vi somiglierà.”
E per restare più vicini nel tempo si potrebbe aggiungere quanto ha scritto, mi sembra Sgarbi, ma non ci giuro: “…per fare della poesia non basta scrivere senza rispettare le regole dell’andare a capo.”.
Tornando a Folicaldi e ai ritardi cronici con cui le sue composizioni vengono pubblicate Antonio Castronuovo ritiene che “Le ragioni possono essere molteplici, e forse quella precipua è proprio la più semplice: la cronica povertà in cui versava.”, e conclude con la riflessione, che condivido, che “…la stagione futurista di Folicaldi è lunga sul piano editoriale, dal 1925 al 1935, breve – come futurismo comanda – se valutata sul piano creativo, dal 1919 al 1926.”.
I titoli citati sono solo una piccola parte della creatività di un futurista alla periferia dei luoghi del grande futurismo dei grandi futuristi della punta dell’iceberg. Un futurista che forse si è goduto questa stagione anche sott’acqua se si è disinteressato di far scrivere “poeta” al posto di quel “Ragioniere e maestro.”
Luciano Tumiet