Erbario medievale
27 Dicembre 2021
San Martino di Tours
14 Novembre 2022

Erbè – storia di un paese

Da “ Erbè – Storia di un paese”  a cura di Romana Caloi, Francesca Bissa e Paolo Giacomelli.

Edizioni Vergraf – Verona – 2012

NOI PRIMA DELLA STORIA

antica mappa di Erbè

Al tempo in cui il mondo era ancora un”” indiviso primitivo””, nel territorio della media pianura veronese una popolazione definita paleoveneta visse fra i boschi e le paludi, costruendo i  propri abitati sui dorsi sabbiosi emergenti dai  numerosi corsi d’acqua che dilagavano nella grande pianura .

I paleo veneti, o veneti antichi, secondo la moderna storiografia, appartengono , assieme ai latini, allo stesso gruppo di popolazioni  che già dal terzo millennio si erano mosse dal centro Europa verso le terre del sud fino a penetrare nei territori della odierna regione veneta. Parte di questo gruppo si fermò nel golfo di Venezia ed un’altra parte proseguì verso il Lazio.

La storiografia romana identifica  Paleoveneti o Venetici fra quelle popolazioni di provenienza indoeuropea che arrivarono a stanziarsi, verso la metà circa del II millennio nei territori dell’Italia nord-orientale, dove svilupparono una propria originale civiltà.

Sostanzialmente le due versioni  convergono sul fatto che queste popolazioni, da lontane regioni orientali, con lenti movimenti raggiunsero dapprima l’Europa centrale per muovere poi verso sud alla ricerca di un luogo adatto dove fermarsi.

Il nucleo che decise di fermarsi nei territori del nord-est italico scelse queste terre perché ricche di sorgenti e corsi d’acqua, pianure e prateria, boschi e colline occupando un territorio dai confini simili a quelli dell’attuale Veneto.

Già all’inizio del secolo XI A.C. si delinea nel nostro territorio una strategia di occupazione che predilige i grandi assi fluviali ed i fiumi di risorgiva (Po,Adige,Brenta,Tione Tartaro, Menago, Bacchiglione, Sile).

Gli insediamenti sorgevano su terrazzi o dossi sabbiosi emergenti dalle acque.

situla atestina
situla paleoveneta – Museo Archeologico di Este

Nel nostro territorio ossia nel Veneto occidentale, gli insediamenti più importanti  furono Gazzo ed Oppeano, che costituirono fin dal IX secolo i due centri protourbani a controllo del territorio di pianura fra l’Adige ed il Mincio

Allora l’Adige correva nel suo alveo antico e non passava da Legnago ma da Este; sulle sue rive, fra il  IX-VIII secolo A.C. si sviluppò e si impose  una civiltà estremamente evoluta, che da Este/Ateste  si chiamò “atestina” o delle situle  e che contribuì allo sviluppo non solo dei centri di Gazzo e Oppeano ma anche di Minerbe, Sorgà, Castion di Erbé, Terrenegra.

Castion di Erbè diventa ufficialmente sito archeologico nel 1972 a seguito di rinvenimenti emersi due anni prima nel corso di lavori di spianamento agricolo.

L’indagine archeologica ricostruì l’esistenza di un fossato terrapieno a protezione di un insediamento risalente all’VIII-VII secolo A.C.e quindi contemporaneo alla civiltà di Este.Si trattava di un “villaggio” testimoniato da resti di capanne, con buche di palo, pozzetti per i rifiuti, residui di laboratori per la produzione della ceramica e per la lavorazione dell’osso e del corno, officine metallurgiche testimoniate da frammenti di matrici per fusione del metallo ed anche per la lavorazione della pasta vitrea. Il ritrovamento di frammenti di un vaso a bocca quadrata e di punte di freccia hanno costituito elemento per affermare che il sito era frequentato anche in epoca molto più antica databile addirittura al IV millennio A.C.

ex voto per santuari

Anche in Località Tremolina, nel 1967, erano emersi resti di insediamenti preistorici datati fra il Bronzo Medio ed il Bronzo recente (XIV-XII sec. A.C.), ciotole,olle decorate, bicchieri, un pettine di osso finemente decorato.

Ma allora come vivevano questi erbetani in quell’epoca prima della Storia?

Anche loro avevano già una società organizzata. Gli insediamenti sui dossi erano circondati da fossati o palizzate, in cui l’area era suddivisa in “residenziale” con case fatte di canne, tetti di strame, pavimento di nuda terra, “artigianale” con i laboratori di ceramica, metallurgia, osso-corno, e pasta di vetro, zona allevamento animale ed “area cimiteriale” e sacrificale per le cerimonie alle divinità. La loro era una economia di sussistenza, basata su una agricoltura estensiva di tipo cerealicolo, di allevamento ovino,caprino e suino con integrazione a base di caccia e pesca.

Grazie alla ricca rete fluviale commerciavano i loro manufatti con l’area adriatica, con l’Egeo, ed il Mediterraneo orientale. Gli oggetti di scambio erano di uso comune e quotidiano per la casa, l’abbigliamento, l’agricoltura ma anche beni di lusso, come perle in pasta di vetro, pettini in corno ed avorio. Con gli scambi commerciali si propagavano anche miti e credenze religiose. La presenza di idoletti fittili che ricordano quelli egei, confermano i contatti culturali fra adriatico ed Egeo.

Un particolare che lega la civiltà atestina ai ritrovamenti  archeologici di Castion di Erbè è il ritrovamento di una  figurina fittile (di argilla) risalente al II o III periodo atestino, quindi fra il VII ed il VI secolo A.C.( Salzani- ibidem) e riproducente una figura umana, certamente l’offerente, che ringraziava. la divinità oppure a questa chiedeva aiuto. Erano queste figure degli ex voto che venivano portati ai santuari.I santuari nel mondo venetico-atestino erano come i nostri capitelli sulle strade.

Ai santuari si andava con figurine in argilla o bronzo che riproducevano figure umane, di persone per cui intercedere, oppure parti del corpo , come gambe mani piedi, per le quali si era ricevuta o si chiedeva grazia di guarigione. Le figurine potevano rappresentare anche animali per i quali si chiedeva salute e protezione visto che rappresentavano  per quelle genti cibo e aiuto nel lavoro.Questi oggetti si lasciavano davanti al Santuario e in un secondo tempo, quando il numero era sovrabbondante venivano sepolti ai piedi dello stesso per far posto ad altre nuove offerte.( Le “stipi” votive dei santuari si ritroveranno anche nel mondo romano)

Un altro interessante ritrovamento che conferma l’importanza della direttrice del Tione nella fase fra l’ultima Età del Ferro e la prima romanizzazione è una moneta, una dramma, ritrovata ad Erbè, in località Tremolina solamente nel 2002: sul rovescio è il calco di un leone naturalistico e viene datata al III secolo A.C.

La figura stilizzata del leone è straordinariamente simile ad altre stampate a calco nelle paste vitree con cui nel mondo romano si facevano gioielli riproducenti spesso figure dello zodiaco o divinità.

Pasta vitrea con figura stilizzata di leone

GALLI CENOMANI CAVALLI-COLLABORAZIONE CON ROMA

Questi antichi erbetani appartenevano dunque a quegli antichi veneti ricordati anche da Omero come grandi allevatori di cavalli

“ ….venivano dalla regione dei veneti, dove è la razza delle mule selvagge”

Di certo i primo contatti del mondo greco con i veneti sono rappresentati dall’apprezzamento per l’eccellenza dei cavalli che essi allevavano e che venivano usati nelle principali corse sportive del mondo greco.

Non solo, ma ben sappiamo come i Veneti fossero tenuti in grande considerazione  dai romani per la loro arte di allevare cavalli che poi venivano regolarmente forniti anche  all’esercito romano.

Il IV secolo in cui si  fa iniziare la cosidetta  nella Età del Ferro vede entrare ed inserirsi nella pianura padana e nel mondo veronese in particolare  una nuova popolazione, quella dei Galli Cenomani o Celti che nel torno di un secolo diventano più numerosi e poco a poco si stabiliscono ed integrano pacificamente con i residenti allontanandoli dalla cultura del mondo atestino per focalizzarli su quella celtica.

Scavi archeologici hanno rivelato necropoli celtiche a Castel d’Azzano, Villimpenta, Castelberforte, Vigasio, Legnago, Oppeano, Livio stesso parla del territorio cenomane fra Brescia e Verona.e per i romani, fino al periodo di Augusto i territori oltre il Po restano definiti come Gallia Cisalpina.

I romani, che da lungo tempo avevano stabilito rapporti di amicizia e collaborazione con i Veneti, guardano con interesse a questi territori come base di espansione verso le terre carniche, istriane ed illiriche.

LA ROMANIZZAZIONE

Roma aveva iniziato già fin dal III secolo a porre le basi per una penetrazione nel Nord Italia. Un po’ per controllare i movimenti delle popolazioni galliche che da tempo valicavano i confini e si stanziavano nella pianura padana, ma anche per stabilire rapporti di collaborazione reciproca con gli abitanti locali che in realtà fu sempre ottima. Molteplici erano gli scambi commerciali di manufatti ma anche, come già detto, di cavalli, non solo; ma, si  sa per certo, che popolazioni venete combatterono a fianco dei romani nelle Guerre puniche.

La penetrazione romana oltre il PO, quindi, non  avvenne con una occupazione del territorio, bensì tramite una serie di accordi politici che sancivano, si, il suo controllo sulla regione ma davano in cambio protezione ed organizzazione del territorio.

Alla metà del II secolo A.C.i romani costruirono la via Postumia, che attraversando tutta la pianura padana congiungeva Genova sul Tirreno con Aquileia sull’Adriatico.

La via Postumia passava da Villafranca per raggiungere la città e poi proseguire verso Vicenza, mentre poco dopo veniva costruita anche la via Claudia Augusta che congiungeva la pianura padana con la valle dell’Inn e provenendo da Ostiglia passava da Isola della Scala, Settimo del Gallese Verona. Per poi proseguire verso Trento.

Il territorio di Erbè non si trovava su grandi vie di traffico, ciononostante, essendo parte integrante dell’agro romano, visse questi secoli importanti accogliendo ed integrandosi nella cultura dominante. Anche di questo periodo restano testimonianze umane che ci fanno comprendere come una cultura locale, appartenente alle antiche popolazioni venete venute a contatto, nel corso dei secoli, con popolazioni galliche, etrusche, retiche, riuscirono ad adattarsi ed integrarsi anche nella cultura del grande impero romano.

In località San Carlo è documentato il ritrovamento di una coppetta graffita, ora al Museo Archeologico di Isola della Scala, facente parte di un corredo funebre ritrovato nella torbiera di San Carlo.

La coppetta recuperata negli anni 1989-90, faceva parte di un sepolcreto situato vicino al fiume Tartaro e quindi anche vicino alla strada consolare Claudia Augusta Padana. Ha un diametro di 13 cm all’orlo superiore e di 5 cm a quello del fondo, ed è coperta di vernice rosso scuro opaco. Sulla parete esterna è l’iscrizione “Sexti Arcarici” mentre sul fondo è impresso un bollo con il nome dell’officina che ha eseguito il lavoro “Laetus/Plaetori”

Sexti Arcarici, invece è certamente il nome del proprietario. Il dativo ci comunica che la coppetta apparteneva al Signor Sextus Arcaricius. Ma quello che è interessante è il fatto che Arcaricius farebbe pensare ad un nome di origine locale preromana, creato o adattato al momento della romanizzazione.  Poichè la datazione della coppetta  viene fatta risalire fra il I sec.A.C. ed il I secolo DC.,  quindi in età Augustea, la sua scritta ne fa un interessante documento di acculturazione di individui di origine indigena e di diffusione della scrittura in ambiente rurale già in quell’epoca.

Una ulteriore testimonianza archeologica di epoca romana è un cippo funerario di forma quadrangolare in pietra della Lessinia. Sulle due facce più larghe, una opposta all’altra, sono scavati, all’interno di due nicchie, un busto femminile ed uno maschile. Nella parte sottostante entrambi i rilievi dei volti, è ancora rilevabile una fascia rettangolare levigata e racchiusa da una sottile cornice a listello.

Il viso maschile, pur nella condizione pessima di conservazione, fa intravedere zigomi alti ed orecchie “a vela” secondo i canoni della ritrattistica funeraria di età giulio-claudia (nota) che si rivela anche nella capigliatura a ciocche portate in avanti., collo tozzo, clavicole in evidenza ed anche il pomo d’adamo compare scolpito.

Il viso femminile, meno rovinato, evidenzia assieme al collo tozzo e gli  zigomi ancora alti e sporgenti, una mascella larga e quadrata, un naso schiacciato ed una acconciatura in linea con la moda del tempo, vale a dire scriminatura centrale che separa i capelli raccolti poi dietro la nuca con due trecce a crocchia. Le iscrizioni incise confermano una datazione al I secolo D.C..

I defunti si chiamavano Arruntius, Prisco lui e Maxima lei e  dato che portano lo stesso nome si presume fossero uniti da vincolo di parentela, non necessariamente da matrimonio. Il nome Arruntius è genericamente considerato di origine etrusca.

Quindi I Signori Arcaricio ed Arrunzio vissuti in epoca romana nel nostro territorio confermano che gli uomini in ogni secolo o millennio hanno vissuto la loro vita adattandosi alle situazioni  diverse che si venivano a creare nel loro tempo e che solo successivamente  hanno costituito “la storia”

Roma e l’impero romano  furono e talmente grandi che a tutt’oggi non si sono ancora esauriti i riflessi postumi di questa grandezza.. Nell’arco di tempo di neanche un millennio la città-stato dei sette colli divenne padrona del mondo grazie anche alla straordinaria capacità di trasformare i possibili nemici in alleati, pur lasciando che rimanessero galli, iberici, africani o veneti. A questi popoli trasferiva la “romanitas” che intesa come “civiltà romana” significava anche un modo di pensare, sentire e fare. Tacito diceva che solo l’ignorante pensa che monumenti, palazzi e raffinatezze siano la civiltà. Civiltà è essenzialmente una cosa dello spirito, esprime da un lato il senso della dignità della persona umana e dall’altro il riconoscimento della personalità altrui ed il diritto a coltivarla. E quando anche Roma si allontanò da questi fondamenti che l’avevano resa così grande, cominciò ad avviarsi verso il suo declino.

VERONA ED IL SUO TERRITORIO NEL PRIMO MILLENNIO

Il territorio transpadano era fortemente romanizzato già nel I sec.A.C. Certo la cultura indigena avrebbe richiesto ancora tempo per adeguarsi a leggi, lingua, usi e costumi, ma già in quest’epoca questa regione dava alla cultura romana poeti della levatura di Catullo e Virgilio. Fu proprio Cesare a voler concedere a Verona ed al suo territorio la cittadinanza a tutti gli effetti a partire dal 49 A.C., e le sue ragioni erano soprattutto politiche: la regione gli serviva prima di tutto come base logistica e come riserva di soldati, ma anche come base di partenza per la conquista delle zone alpine come infatti avvenne successivamente nel I secolo D.C. con il suo successore l’imperatore Augusto.

La conquista delle zone alpine aprì la strada ai rapporti di Roma con i mercati germanici e danubiani ed allo stesso tempo portò Verona verso una dimensione europea.

La crisi che investì la gestione dell’impero con i successori di Nerone già nella seconda metà del primo secolo D.C., vide la contesa di Otone e Vitellio prima e di  Vitellio e Vespasiano poi affrontarsi anche nel territorio della nostra pianura che fu teatro favorevole alle manovre della cavalleria romana nelle battaglie per il potere ( 69 D.C.)

Fino alla metà del II secolo D.C. la città ed il territorio poterono godere di un periodo di pace e prosperità, ma ben presto una prima minaccia di quelle invasioni che dovevano minare ed eliminare definitivamente l’impero romano d’occidente si affacciò alla Pianura Padana. Proprio l’area veneta ebbe un ruolo storico di fondamentale importanza nelle vicende che portarono alla caduta dell’impero.

Chi controllava il Veneto possedeva la “Porta d’Italia”trovandosi esso allo sbocco di quella direttiva da Lubiana ad Aquileia che venne denominata “strada delle invasioni”

Il pericolo arrivava da nord-est, dunque, e già nel 258 gli Alemanni furono fermati a Milano dall’imperatore Gallieno, figlio di Valeriano. Gallieno dovette rifortificare tutte le città dell’impero. Ecco perché anche a Verona viene ricordato il suo intervento dedicando a lui la piazza dietro l’Arena, oggi Piazza Mura Gallieno.

Oramai il destino dell’impero era segnato . A  nulla servì la riorganizzazione istituzionale ed amministrativa di Diocleziano, salito al trono nel 284. Anche per Verona erano ormai lontani gli anni del benessere. Le lotte fra Costantino e Massenzio e fra i figli di Costantino si giocarono fra Aquileia e Verona.

La vittoria di Costantino su Massenzio segnò’ una svolta epocale nella storia tardoantica, che portò a spostare la capitale da Roma a Bisanzio e portò Verona ad essere già alla fine del IV secolo presidiata da reparti di origine barbarica.

Di lì a poco l’Adige fu insanguinato dalle lotte fra Stilicone ed i Goti di Alarico, gli Unni di Attila arrivarono nei pressi di Valeggio e dulcis in fundo gli Eruli con Odoacre deposero l’ultimo imperatore romano d’occidente, Romolo Augustolo.

Roma ed i romani quasi non se ne accorsero. Da troppo tempo la città viveva di  parassitismo, corruzione ed immoralità.

“Roma muore e ride” scrive Salviano nel suo libro “Il governo di Dio” Era il 476 e l’Italia piombava nel Medio Evo.

IL TERRITORIO FRA TARTARO E TIONE NELL’AGRO ROMANO

IL mondo romano era dominato dalla città che costituiva il punto di riferimento per ogni genere di scambi essendo essa sempre collocata al centro di una rete perfetta di strade che permettevano e facilitavano i movimenti di uomini e merci in tutte le direzioni

L’agro veronese  era attraversato da molte importanti vie di comunicazione che si chiamavano via Postumia, la via Gallica, la via Claudia Augusta Padana. Queste importanti arterie si collegavano poi con altre vie di minore importanza ma indispensabili per dare vita ad una rete infinita di rapporti che favorivano movimenti e scambi non solo con le città più vicine, quali Verona e Mantova, ma anche con i territori d’oltralpe e con aree a vocazione produttiva molto differente sia a nord che a sud.

Poiché l’economia delle città romane era fondata sull’agricoltura a basso contenuto tecnologico ma fornita di abbondante mano d’opera schiavile , anche il territorio in cui si trova Erbè forniva cereali, vite, mele, lino. I prati ben irrigati fornivano zone di pascolo per ovini che sostenevano l’industria della lana, ed anche l’apicoltura era praticata con successo. A sostegno ed integrazione delle attività agricole vi era tutta una serie di lavori artigianali che completavano l’economia del territorio

Il nostro territorio, come abbiamo potuto capire dal precedente capitolo sulla preistoria era già molto ben organizzato sia come vie d’acqua che come attività economica di produzione e scambi.

L’intervento della organizzazione romana, con le sue leggi, le sue strutture viarie e le sue opere idrauliche proiettò velocemente anche le nostre popolazioni all’interno della storia, quella trascritta sui rotoli di pergamena e quella incisa nelle pietre e nei miliari, L’organizzazione romana portò le genti dell’impero ad essere protagonisti della storia.

Ma con la caduta dell’impero ed il venir meno dell’organizzazione civile l’alto grado di civiltà raggiunto dalle popolazioni regredì velocemente e profondamente.

L’assenza di organizzazione civile, i guasti materiali, le ruberie e i saccheggi che accompagnarono le invasioni e le occupazioni, portarono al sopravvento delle forze naturali sulla composizione del paesaggio che l’opera dell’uomo aveva avviato.La popolazione, in questi anni di paura ed angoscia, abbandona le terre che aveva lavorato e dissodato, i fiumi che aveva curato ed incanalato. L’incuria fece dilagare i fiumi ed avanzare la boscaglia.

CRSTIANESIMO

La “Parola” penetrò nell’impero e costituì una delle cause che ne minarono le fondamenta.

Verona città accolse il messaggio evangelico molto tempo prima della pace Costantiniana, Infatti, San Zeno che visse e morì nel IV secolo, fu solo l’ottavo vescovo di Verona, ma ebbe il privilegio e la consolazione di completare la cristianizzazione dei cittadini.

Quella del territorio invece impiegò ancora molto tempo. Infatti, proprio San Zeno, deplorava in uno dei suoi Sermoni, l’indifferenza di alcuni ricchi cristiani che possedendo dei fondi in campagna, vi lasciavano sussistere le are di divinità pagane.

Quel quarto secolo che espresse grandi figure di uomini come San Zeno e Sant’Ambrogio, vide anche il diffondersi in Italia del monachesimo, figlio dell’eremitismo orientale che ne rappresentò la prima fase e la più rozza.

Ma solo più tardi, nel VI secolo, con San Benedetto da Norcia,  il monachesimo assunse il suo vero volto: quello che attraverso i secoli giunse sino a noi.

La sua regola, la regola benedettina dell’Ora et Labora resta ancora oggi uno dei pilastri più alti ed una delle testimonianze più originali del cristianesimo.

I benedettini ebbero una parte decisiva nella vita economica e sociale del Medio Evo. Quando essi iniziarono la loro opera, nel VI secolo, l’Italia era precipitata nel caos.

Gli eserciti barbarici avevano spianato città e villaggi. Le campagne erano spopolate, nessuna organizzazione politica o economica esisteva, bensì solamente anarchia ed oppressione. Ecco che i monasteri divennero per le popolazioni il punto di riferimento principale per la loro sopravvivenza. I monasteri si fortificarono ed offrirono protezione, in cambio ottennero braccia per lavorare, dissodare bonificare le terre abbandonate a sé stesse. Non solo, ma le biblioteche dei grandi conventi benedettini furono in grado di perpetuare il salvataggio dell’eredità culturale di Roma, copiando e trascrivendo quei codici manoscritti che oggi il mondo ci invidia.

VERONA CAPITALE DEI REGNI ROMANO BARBARICI

Se la storia assegna la data ufficiale della fine dell’Impero Romano d’Occidente al 476,  solo vent’anni prima , verso il 450 , era passato sulle nostre terre “il flagello di Dio” Attila con i suoi Unni e, solo vent’anni dopo,  Teodorico è già insediato a Verona. E vi rimane per circa trent’anni.

Nel VI secolo Verona era una delle capitali di Teodorico, re dei Goti. Egli aveva consolidato la sua conquista dell’Italia già nel 494 e si era installato con la sua orda di guerrieri, pecorai e predoni fra Verona, Pavia e Ravenna. Non permise mai che i suoi goti si mescolassero con il substrato romano dei residenti, ma di Roma adottò leggi ed ordinamenti, si servì degli amministratori romani e si adoperò contro la demolizione indiscriminata ed arbitraria degli edifici romani in tutto il territorio.

A Verona fece restaurare le mura, i monumenti più importanti come l’Arena e le Terme. Fu certamente il primo barbaro che seppe innalzarsi sopra il livello di capotribù. Tracce di insediamenti dei Goti sul territorio si hanno sporadicamente nella zona di San Floriano, Bussolengo, Sommacampagna,  e Villafontana.

I Goti erano di religione Ariana ma non perseguitarono mai la religione cristiana.

Semplicemente non si mescolavano, restavano separati.

Dopo i Goti di Teodorico, si insediarono i Longobardi di Alboino

Arrivavano dall’Europa centrale, entrarono in Italia dal Friuli e da lì inziarono ad espandersi nella valle padana  e poi nel resto d’Italia.

Alboino che scelse come sue residenze Verona e Pavia e distribuì nelle varie città conquistate i suoi Duchi, che altro non erano che capi-tribù che avevano combattuto al suo fianco. Anche i Longobardi erano una esigua minoranza militare e costituivano una casta chiusa ed erano ariani

L’amministrazione del diritto era ispirata a vecchie concezioni tribali fra cui il “giudizio di Dio” I matrimoni misti non erano consentiti.

croce di Agilulfo, Re dei Longobardi e secondo marito di Teodolinda

Ma alcuni personaggi longobardi degni di essere ricordati dalla storia sono Teodolinda, la regina che in collaborazione con Papa Gregorio Magno portò i Longobardi a convertirsi dalla fede ariana a quella cattolica, Rotari che con il suo Editto sancì un rinnovato incivilimento dovuto al contatto con il substrato romano ed alla conversione al cristianesimo ed infine Liutprando, il più grande, che fu non solo un cattolico sincero, ma anche un grande legislatore.

Durante l’epoca longobarda il territorio era diviso in distretti:

alcuni distretti costituivano le terre regie, erano  presieduti da gastaldi alle dirette dipendenze del re con incarichi amministrativi e poteri civili, militari e giudiziari.

Altri distretti appartenevano invece ai duchi, che erano amministratori periferici dello stato longobardo ed avevano giurisdizione su tutti gli abitanti .

L’epoca longobarda vide un grande fiorire di monasteri:

A Verona ,il duca Longobardo Lupo e la moglie Ermilenda  intorno al 720 fondarono il monastero di Santa  Maria in Organo.

Nel territorio si deve ricordare il monastero di San Colombano di Bobbio, nella zona di Garda e Peschiera, quello di Gazzo Veronese nella Pianura.

Anche San Zeno era una realtà importante già in epoca longobarda e fin da allora si ha notizia di concessioni, non meglio precisate, fatte da sovrani longobardi e riguardanti il territorio di Ostiglia

Anche nella nostra città i longobardi riuscirono ad esprimere notevoli personalità fra cui il vescovo Annone, vissuto nell’VIII secolo che costruì la Cattedrale nel luogo dove ancora oggi si trova ed anche l’Arcidiacono Pacifico, vissuto solo un secolo dopo ma di chiare origini Longobarde. Uomo di grande cultura che diede un grosso impulso allo Scriptorium veronese con la trascrizione di moltissimi codici che fanno della Odierna Biblioteca Capitolare la più importante raccolta di codici d’Europa.

Fra Papato ed invasori longobardi ariani però rimasero divergenze incolmabili sia di natura dottrinale che di interpretazione nell’esercizio del potere temporale.

I Longobardi non vollero mai avvalersi delle autorità ecclesiastiche come organismi di potere e fecero in modo che il loro campo di azione fosse circoscritto alla sola area dei valori spirituali e religiosi.

Lo sforzo dei  longobardi di voler riunire tutto il territorio italiano sotto un solo  sovrano cozzava con la tesi dei Pontefici di essere eredi dell’Impero Romano d’Occidente. Questo stato delle cose aggiunto all’atteggiamento ostile di alcuni settori delle dignità longobarde nei confronti del loro sovrano fecero sì che Carlo Magno intervenisse contro i Longobardi.

Tutti conosciamo gli ultimi giorni di re Desiderio assediato a Pavia e di suo figlio Adelchi che fugge a Verona, inseguito dai Franchi.

Carlo Magno sconfigge quindi  Desiderio ed i Franchi, saranno i nuovi dominatori d’Italia.

Con la nuova politica franca i vescovi e le più alte dignità del clero locale vengono inseriti nella vita attiva delle singole città divenendo al contempo uno strumento da opporre all’espansione dei grandi signori laici

L’amministrazione del territorio in epoca franca vede il distretto trasformarsi in contea,  con a capo un conte che non riceveva uno stipendio  ma godeva del beneficio di quelle terre e questo beneficio, ben presto, divenne ereditario e questi distretti diventarono patrimoni familiari privati.

I regni Italici successivi alla morte di Carlo Magno, iniziano con Berengario I del Friuli re d’Italia, (888-924) che sceglie ancora una volta Verona come sua residenza abituale, e porta alla città una rinnovata importanza politica.

Le lotte per la successione al regno d’Italia, dopo l’assassinio di Berengario avvenuto proprio  a Verona, portano ben presto all’intervento degli imperatori di Germania, eredi del Sacro Romano Impero, che faranno dell’Italia un loro feudo.

Con queste notizie abbiamo praticamente raggiunto la fine del millennio.

ERBE’ PRIMA DEL MILLENNIO.

Il territorio di Erbè era proprio al centro di quella pianura impaludata e lasciata alla mercè della boscaglia  nei secoli che accompagnarono il declino dell’impero e l’ingresso di popolazioni cosiddette “barbariche”.Poichè il popolo che per primo divenne stanziale fu quello longobardo, e poiché, per i longobardi, di natura nomade, l’unica attività che sapevano fare era lo sfruttamento predatorio del suolo tramite allevamento ovino e suino, ecco che i territori della nostra media pianura  sono prevalentemente dedicati all’allevamento degli animali allo stato brado.

Solo successivamente al periodo longobardo, con  l’organizzazione franca, ritorna una penetrazione umana organizzata nel territorio con insediamenti che seguono le direttrici dei fiumi principali,  Adige, tartaro, Tione , per parlare della destra Adige.

Tale organizzazione prevede grandi aziende agricole, dette “curtis”che si installano facilmente nelle zone meno popolate, per quei tempi, come appunto la nostra, e che si espandono  su territori molto vasti

Dagli insediamenti lungo i fiumi, quindi, parte il grande assalto al bosco.ed alla palude per sanare e coltivare.

Ed il nostro territorio vede all’opera nella messa a coltura delle terre incolte il grande e famoso proprietario terriero di origine franca Engelberto di Erbè

Erbè era il centro amministrativo della sua “curtis”cioè della sua azienda, che era molto estesa con proprietà sparse in tutta la provincia ed anche oltre.

Questo ricco possidente terriero  volle dettare il suo testamento il 28 Maggio dell’anno 846. Questo documento è giunto fino a noi e riveste un enorme interesse per la storia del diritto medievale ed anche del linguaggio di quell’epoca.

Per quanto riguarda il linguaggio è un latino che scivola verso il nascente volgare, cioè verso l’idioma che sarà la nostra lingua italiana molti secoli più tardi.

Sotto il profilo del diritto perché si tratta di un documento notarile, redatto in presenza di un notaio e controfirmato da un lungo elenco di testimoni. Questo modo di procedere non era da tutti. Ricordiamoci che siamo nell’anno 846.

Solo due anni prima, nell’844, a Quinzano di Verona, l’Arcidiacono Pacifico, faceva redigere, con lo stesso procedimento, cioè con notaio e testimoni, il suo famoso testamento, considerato dagli storici il primo documento che inaugura la prassi della successione testamentaria, prassi che era stata abbandonata fin dai secoli VII e VIII.

Anche Engelberto, come il grande Arcidiacono Pacifico, designa con precisione le clausole successorie, con descrizione minuziosa dei beni e dei beneficiari. Le sue proprietà sono molte e distribuite su un territorio molto vasto; al figlio Grimoaldo

lascia l’intera sua sostanza, ma stabilisce anche , nel caso questi muoia prima di avere eredi, che  le varie proprietà passino ad altri eredi, nipoti e conoscenti.

Per quanto riguarda Erbè stabilisce che in caso di premorienza di Grimoaldo suo figlio, le proprietà passino ai nipoti, Grimoaldo, Valcario ed Isone, figli della sorella Grimana  Dalla stesura del testamento e dall’elenco  dei beni si capisce che i suoi possedimenti spaziano da Volta Mantovana, a Villimpenta, a Povegliano, in Lessinia,nella zona del Garda,  insomma in tutta la Provincia ed oltre. Dispone anche che una parte dei suoi beni siano destinati ai monasteri di San Zenone e Santa Maria in Organo,affinchè si preghi per l’anima sua.

Dispone anche che alla morte sua i servi e le ancelle siano tutti resi liberi.

Le disposizioni hanno sempre come finalità quella di suffragio per l’anima del testatore.

I testimoni che firmano  sono molti. Firmano davanti al notaio Gariberto in undici, di cui otto sono analfabeti e sono quasi tutti di Erbé e si chiamanoAustreberto, Gausseberto,  Odelberto, Lupone, ecc. Ho citato alcuni nomi perché ci danno anche la possibilità di dedurre come le civiltà che si erano inserite nel substrato romano ,che comunque restava preponderante, e cioè longobardi, germani e franchi, avessero influito sulla cultura esistente. Questi nomi terminanti in –berto sono decisamente di origine franca, mentre quelli che terminano in –perto o –prando (Eriprando, Lamperto-Liutprando) sono Longobardi.

Ciò significa che, le mode avevano anche allora il loro peso, poteva essere benissimo che genitori di origine romana dessero ai figli nomi di origine germanica, come oggi noi  diamo ai nostri figli nomi tronchi e di origine straniera ( Christian, Manuel, Samantha).

chiesa erdebello

Chiesa di Erbedello

In questo preziosissimo documento Erbè è chiamato vicus, il che ci fa pensare ad un non piccolo agglomerato di case attorno alla villa padronale e alla curtis o azienda agricola. La “curtis”è secondo l’organizzazione introdotta dai Franchi nel’italia padana una azienda agricola, costituita da terre “dominiche” e”: massarice” :le prime venivano gestite direttamente dal “dominus” ( dal proprietario) per mezzo di servi e coltivatori dipendenti, le seconde venivano affidate a massari in cambio di canoni in natura e alla prestazione di lavoro sulle terre dominiche secondo accordi diretti fra proprietario e massaro.

Per analogia storica riteniamo che la “curtis”avesse  anche una “ecclesia propria” “ cioè una chiesa privata.  Quasi ad imitazione dei re ed imperatori che sulle loro innumerevoli ed estesissime proprietà facevano edificare “ cappelle” per una prima assistenza religiosa ai contadini. Anche un grande proprietario come Engelberto aveva certamente fornito ai lavoratori della sua azienda una cappella per le celebrazioni e questa chiesetta riteniamo fosse Erbedello.  L&a