Carlo Magno ad una domanda del suo maestro Alcuino di York che gli chiedeva “Che cos’è un’erba ?” rispose “L’amica dei medici e la lode dei cuochi”.
Questa conversazione può essere apocrifa e non molto profonda ma tuttavia la definizione di Carlo Magno delle erbe medievali è succintamente vera come qualsiasi altra che si possa trovare nei libri sulle erbe oggidì. Il grande Carlo deve aver saputo abbastanza sulle erbe, o almeno lo sapevano i suoi consiglieri, perché inserì tra le sue istruzioni agli amministratori reali una lista di settantaquattro erbe che dovevano essere piantate negli orti imperiali.
Anche se i libri di cucina affermavano che una buona cucina era la migliore assicurazione per la salute, era agli erbari che la casalinga dei XIII , XIV, XV secolo si rivolgeva per chiedere consigli su cosa fare per i “piedi gottosi” per il “prurito anale” per i “foruncoli in faccia “per ” la perdita della vista, “per” l’ ubriachezza ” per pulire la teiera” e per evitare” sogni malvagi e impudenti! “
Uno trai primi se non il primo erbario si ritiene si quello dell’autore greco Dioscoride essendo stato scritto nel I secolo D.C. Questo lavoro comprende circa cinquecento preparazioni mediche a base di piante, ed è stato accettato come autorità quasi infallibile in tutto il tutto il Medioevo.
Nel VI secolo d.C. uno scrittore sconosciuto solitamente chiamato Pseudo-Apuleio, che, a mio parere non a torto, non aveva alcuna fiducia nei medici di allora, scoprì alcuni poteri delle piante e preparò con esse alcune cure per il corpo, descrivendo il suo lavoro con queste parole : “per i suoi compatrioti, in modo che se qualche irritazione dovesse colpire il loro corpo , potessero essere curati dalla loro malattia evitando i dottori ”
Gli erbari ed anche i ricettari di cucina erano solo manoscritti rari disponibili solo nei monasteri o nelle case nobiliari fino al XV secolo quando si scoprì la stampa a caratteri mobili, e gli “stampatori/editori” dell’epoca, forse questo può stupire, dopo aver dato alle stampe, per primo, nobilissimi libri, iniziarono a pubblicare quei testi che, ovviamente saranno stati molto richiesti.
Peter Schoeffer di Magonza, stampatore nel 1485 di un “Hortus Sanitatis”, scrive che poiché l’uomo non può avere un tesoro più grande né più nobile sulla terra della salute del corpo, egli non poteva compiere lavoro più onorevole, utile o sacro … se non compilare un libro in cui fosse contenuta la virtù e la natura di molte erbe… insieme al loro vero colore e forma, per l’aiuto di tutto il mondo e del bene comune . e specifica che per questo degno progetto, si è servito di un dotto medico “e di un pittore pronto arguto, astuto e veloce di mano!”
Accanto a testi un po’ paludati durante il quattordicesimo e il quindicesimo secolo, ne circolavano anche alcuni che potremo definire libri di casa “o cosa dovrebbe sapere la giovane sposa sulla gestione di una casa” Un libro del genere è “Le Menagier de Paris”, scritto verso il 1393 da un ricco e piuttosto anziano borghese parigino per la sua moglie quindicenne, a cui fornisce consigli su innumerevoli problemi familiari: come organizzare una cena , come eliminare le macchie dai vestiti, o il torbido dal vino bianco e i cavoli dai bruchi. Le erbe giocano un ruolo importante in questo volume delizioso e illuminante. Il buon uomo precisa il periodo dell’anno appropriato per la semina di issopo, finocchio, santoreggia e altre erbe. Spiega anche come l’Aconito uccise i suoi ratti e l’elleboro nero i lupi e le volpi che lo danneggiavano. La salvia gli curò il mal di denti e i petali di rosa essiccati messi nelle casse profumarono i suoi vestiti.
Insomma partire dal XIV secolo le padrone di casasi affideranno sempre di più a degli erbari, termine ormai ibrido, per fare un ripieno, un potage, un dolce o dei confetti e, mutate le necessità, per chiedere consigli per i piedi gottosi , il prurito anale , i foruncoli in faccia , la perdita della vista, l’ ubriachezza e per i sogni malvagi e impudenti. Dando così concreta attuazione al detto allora comune «coquina que est optima medicina »
Scorrendo, oggi, quelle pagine, veniamo a sapere che le giovani foglie di tanaceto mescolate alle uova erano, nel periodo pasquale, il piatto preferito per celebrare la fine della Quaresima, anche perché si credeva che fosse utile per purificare il corpo dai “cattivi umori” dopo la lunga dieta a base di pesce salato. Ma troviamo anche il consiglio di sostituire il troppo sale con il timo. Che basta guardare l’umile calendula per attenuare “i malvagi umori” dalla testa e di rafforzare la vista o che se un uomo ha i denti dondolanti e sta per perderli se mangia l’Enula campana, si riattaccano di nuovo. La Malva teneva le streghe lontane dalla propria casa.
La peonia selvatica mangiata o bevuta con il vino, o appesa come radice collo guarirà “senza dubbio” entro quindici giorni dal mal caduco. E se questo vi pare poco, protegge pure dalle tempeste, dai diavoli, dagli incubi e dalle paure. La santoreggia smuove la lussuria ma l’achillea mille foglie la placa. Il succo di cicuta mantiene piccoli i capezzoli delle fanciulle. Se la testa di una persona viene spruzzata con acqua di lavanda, renderà quella persona casta finché la terrà su di sè! Nessuna erba però superava i poteri misteriosi della pervinca minore contro gli spiriti malvagi. “Chiunque porti questa erba con sé sulla pelle, il diavolo non ha alcun potere su di lui Nessuna strega può entrare nella casa che ha quest’erba appesa sopra la porta e se c’è già in essa qualche stregoneria sarà presto cacciata. Con questa erba gli spiriti malvagi vengono scacciati dalle persone … E funziona molto meglio se l’erba viene benedetta con altre erbe nel giorno della Madonna! E offriva pure un buon aiuto” contro i rancori.
E via discorrendo ….
Leggendo quelle pagine, si può sorridere, stupirsi, sentirsi superiori. Ma se concedendoci un attimo di umiltà pensiamo alla concezione dell’uomo di allora, a ciò che poteva sentire dentro e fuori di se difronte al “dolore” della malattia, probabilmente potremmo essere solo curiosi di sapere.
Oppure pensare a quanti di noi, moderni e colti, oggi entrano fiduciosi in una erboristeria o si affidano all’omeopatia,
Ma la più famosa per la sua diabolicità resta sempre la Mandragola per secoli e secoli ne hanno parlato occultisti, maghi, alchimisti, erboristi, elencandone le prodigiose proprietà . E’ una pianta rara , La parte fuoruscente dal terreno è costituita da un ciuffo di foglie in cui, all’epoca della fioritura, occhieggia una piccola corolla azzurra.
La parte più notevole e famosa però è nascosta sottoterra: una radice che può essere lunga, anche fino a un metro, e grossa più di 30 centimetri con un odore, decisamente fetido e una forma vagamente antropomorfa e per questo all’epoca era raffigurata maschio e femmina
come si vede da questa raffigurazione presa dall’Hortus Sanitatis del 1491. Se la radice era chiara era una pianta maschio, se e più scura una pianta femmina Il periodo aureo della mandragora fu ovviamente il medioevo. Si credeva che il il seme della mandragora fosse lo sperma o l’urina che un impiccato per un riflesso fisiologico, involontario emette nel momento della morte di qui le macabre ricerche notturne di occultisti, maghi, alchimisti ai piedi dei patiboli
Come tutte le piante aventi una certa somiglianza con il corpo umano, anche la radice di mandragora era un rinomatissimo e quasi indispensabile ingrediente per ogni atto stregonesco/magico finalizzato a filtri d’amore, o per dare ad una donna un fascino irresistibile, o ad un maschietto una virilità senza limiti e/o la certezza di fecondità ingravidante . Oltre a questo essere finalizzata per attirare denaro, per sviluppare poteri medianici, per assicurare l’invulnerabilità
La credenza più nota a suo carico era che “urlava” nel momento in cui veniva sradicata e conseguentemente avrebbe dato morte certa all’autore, ma avrebbe corso questo rischio anche inciampasse in lei involontariamente o vi passasse troppo vicino
Allora come fare a prenderla? lo Pseudo Apuleio ci descrive l’esatta procedura per non correre rischi:
“In una notte illune ci si rechi sul posto e si cominci a scavare con un arnese che non abbia alcuna parte di ferro. Quando si saranno scoperte le braccia e le gambe della mandragora, si leghi a queste una corda di cui si sarà fissata l’altra estremità al collare di un cane nero affamato. Si lanci poi il più lontano possibile un pezzo di carne: l’animale si getterà a raccoglierlo e, così facendo, estrarrà dal terreno la radice preziosa. Sentendosi strappata dal suolo, la mandragora fa udire un terribile grido d’agonia, capace di uccidere un uomo; nell’istante in cui il cane la sradica, perciò, si soffi forte dentro un corno, il suono del quale coprirà l’urlo della pianta, salvando chi la raccoglie. La morte della mandragora esige il sacrificio di una vita: si uccida dunque il cane, se non si vuol pagare il prodigioso acquisto con la propria esistenza.”
Oggigiorno la mandragora rappresenta una pianta piuttosto temuta, poiché altamente tossica e facilmente confondibile con altre piante commestibili. Sono diversi, infatti, i casi di avvelenamento verificatisi in seguito all’ingestione di foglie di mandragora, erroneamente scambiate per foglie di altre specie vegetali commestibili.
In letteratura una testimonianza cinquecentesca che si fa beffe delle credenze popolari della mandragola, legate sia alla fertilità, sia come potente afrodisiaco, è l’omonima commedia del 1524 del serissimo e paludatissimo Nicolò Macchianelli. La vicenda si svolge a Firenze : Callimaco innamorato di Lucrezia, bellissima moglie di uno sciocco dottore in legge, messer Nicia, vecchio e incapace di procreare, con l’aiuto di due amici si traveste da famoso medico, riesce a convincere messer Nicia che l’unico modo per avere figli sia di somministrare a sua moglie ,una pozione di mandragola e questo gli garantirà la riuscita, ma, come danno collaterale, il primo uomo , chiunque sia, che farà sesso con Lucrezia, morirà. Nicia cade nella trappola e spaventato accetta pur con qualche perplessità la soluzione proposta da Callimaco che a fare sesso con la donna sia un mendicante, che poi morendo garantirà che il proprio onore resti intatto Naturalmente non vi sarà nessun mendicante come vittima predestinata, e sarà lo stesso Callimaco a travestirsi da tale. Lucrezia , che nel frattempo è stata convinta a consumare il rapporto adulterino da fra’ Timoteo, accetta, e nel momento in cui scopre la vera identità di Callimaco, delusa dal marito e lusingata dalle attenzioni del giovane, lo sceglie come amante, certa che questi saprà donarle anche il figlio che il vecchio marito è impossibilitato a darle, infatti resta incinta. Trascorso un po’ di tempo il medico Callimaco ritorna da Nicia che cornuto contento e riconoscente lo invita ad abitare fin che vuole in casa sua. Invito ben accetto dagli amanti che potranno godere indisturbati a loro piacimento
Nel 1965 Alberto Lattuada ne trasse un film di successo, La mandragola, con Rosanna Schiaffino, Philippe Leroy, Jean-Claude Brialy, Romolo Valli, Totò.
E la mandragora non poteva mancare nel film di Harry Potter, qui sarà Pomona Sprout la strega insegnante di Erbologia e capo della casa Tassorosso presso la Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts a mostrarla e decantarne le virtù ai suoi scolari. Leggendo quelle pagine, si può sorridere, stupirsi, sentirsi superiori. Ma se concedendoci un attimo di umiltà pensiamo alla concezione dell’uomo di allora, a ciò che poteva sentire dentro e fuori di se difronte al “dolore” della malattia, probabilmente potremmo essere solo curiosi di sapere. Oppure pensare a quanti di noi, moderni e colti, oggi entrano fiduciosi in una erboristeria o si affidano, anche con beneficio, all’omeopatia.
Testo di Umberto Tellini