1° Congresso Nazionale futurista
9 Marzo 2021
Fenice Associazione Culturale Verona
9 Marzo 2021

Arnaldo Ederle poeta veronese

Lo scorso maggio è venuto meno il poeta veronese Arnaldo Ederle che, come ricorda il suo amico e scrittore Franco Casati su www.poliscritture.it, fu tra i poeti veronesi “…uno dei pochi che frequentò l’ambiente milanese della cultura, staccandosi dal provincialismo della nostra città.”. Arnaldo Ederle viveva a Verona dove era nato nel 1936. La sua produzione letteraria inizia nel 1965 con la raccolta di versi “Le pietre pelose ben osservate”, edito da Ferrari, e si chiude con un romanzo “La fiammata” pubblicato postumo da Bonaccorso. Tra i due estremi una lunga serie di scritti che non si limitano alla sola poesia, sua attività principale, ma che toccano anche le collaborazioni a giornali, le recensioni, le traduzioni di autori stranieri. Ci piace ricordarlo non solo come letterato ma anche come personaggio dell’ambiente veronese come ce lo racconta Franco Casato “lo vedevo comparire dal marciapiede quando ci trovavamo al bar dai cinesi, nel nostro quartiere, all’estate, col bianco cappello Panama dalle larghe falde e l’elegante completo in tinta.
Al sorriso luminoso accompagnava sempre uno sguardo attento, perché egli amava tutto del suo quartiere, dalle persone ai luoghi, vuoi la poesia del lungo canale che lo delimita, vuoi la presenza delle persone più umili che per lui erano sempre un simbolo di qualche cosa, dal povero dimenticato da tutti, alla anonima casalinga che porta il peso del quotidiano”. Ed è sempre Casati che racconta della “ sua l’innata passione verso il Flamenco, un clima musicale che lo avvicinò alla grande poesia spagnola del Novecento, da Garcia Lorca ad Antonio Machado”. Dopo una vita dedicata principalmente alla poesia, Arnaldo Ederle, nell’ultimo periodo, decide di cimentarsi nella prosa anche se non per la prima volta; è del 2010 “Il romanzo Sandwich” sempre per le edizioni Bonaccorso. Nel suo ultimo romanzo “La fiammata” come scrive Giulio Galetto nella prefazione “….Il poeta diventa romanziere, dato che, all’alba del 2019, lui che ha cominciato a pubblicare poesie oltre mezzo secolo fa, arriva ora con questo testo narrativo in prosa, un romanzo vero e proprio, di oltre duecento pagine, forse inquadrabile nel genere giallo, o thriller o qualcosa di simile. Dopo il primo impulso, però, devo correggermi: Arnaldo Ederle non è del tutto nuovo alla prosa [...] Ma poi: non abbiamo detto tante volte della vocazione narrativa della poesia di Ederle? Dunque, nessuna meraviglia.
Allora, di che cosa parla questo La fiammata? E come parla? Cominciamo dal come, visto che, fin dall’incipit, colpisce non tanto un contenuto, quanto una “forma”, ossia la lentezza quasi incantata con cui viene descritto il modo in cui un personaggio osserva, da un interno, attraverso un angolo di finestra, il passaggio di figure all’esterno..”. Su quest’ultimo lavoro e sul passaggio dalla poesia alla prosa è stata pubblicata su www.ildialogo.org la recensione “Quando un poeta scrive un romanzo” a firma Franco Casati. E’ uscito il romanzo postumo di Arnaldo Ederle ‘La fiammata’, a pochi giorni dalla sua morte (avvenuta il 2 maggio a Verona), edito da Bonaccorso, con prefazione di Giulio Galetto. Il poeta veronese, con più di mezzo secolo di attività alle spalle, ha voluto cimentarsi con la prosa del romanzo, suscitando curiosità e aspettative nei suoi confronti, anche se in anni passati aveva già pubblicato dei racconti in prosa. Leggendo le pagine di questo lungo romanzo ho avuto conferma di quanto avevo ipotizzato, considerando che un poeta non può uscire più di tanto dalla propria pelle, e cioè che Ederle avrebbe optato per una linea di narrazione paradigmatica, ossia affidata a contenuti più astratti e allusivi che concreti, senza un consistente intreccio, a una osservazione attenta di una realtà simbolica più che concreta (il deambulare dei due protagonisti nel centro storico di Roma, fra le vecchie strade e gli storici caffè), a uno scavo interiore dei personaggi, osservati nelle piccole azioni quotidiane e nelle usuali scelte di vita, con uno stile narrativo funzionale ai contenuti. Bene si esprime, a questo proposito, nella sua introduzione Giulio Galetto:” …la narrazione è essenzialmente registrazione lenta e quasi ossessivamente iterata di gesti, atti, rare parole di trita quotidianità, capiamo che il ‘come’ del racconto non è casuale, ma è in funzione del ‘che cosa’ del racconto stesso.”
Come si vede, un lavoro incentrato più sulla scrittura che sulla narrazione. L’autore non si preoccupa di accattivarsi l’attenzione del lettore, resta nell’animo dei suoi personaggi. La narrazione procede su due piani paralleli che poi si incontrano. C’è un io che parla in prima persona, ed è la voce dell’intellettuale, membro della commissione scientifica di uno ‘Studio letterario’, il cui deposito di libri è stato incendiato da una mano ignota, con tutte le conseguenze che ciò comporta sul piano storico-culturale. Per la descrizione delle sensazioni e dei pensieri di questo primo protagonista Ederle si affida principalmente alla tecnica del ‘flusso di coscienza’ di Joyceiana memoria. Scopriamo, non a caso, che egli ama i poeti provenzali e i romanzi di Dostoevskji, come lo stesso Ederle. Ma, alla fine, anche la realtà della sua vita si svolge fra l’abitazione e il deambulare per il centro storico di Roma, fra i suoi caffè, avendo spesso come meta una visita allo ‘Studio letterario’, della cui segretaria egli è invaghito. Anche il secondo protagonista non ha nome, viene chiamato ‘l’uomo’ , una figura di estrazione proletaria, e su di lui la narrazione procede in terza persona. Qui Arnaldo Ederle dimostra di avere fatto propria la lezione del Nouveau Roman, ovverossia quella dell’E’cole du regard, di Alain Robbe Grillet, di Jean Butor e di altri autori francesi, con l’osservazione minuta e quasi ossessiva della realtà; unitamente a quella del minimalismo di Raymond Carver, che punta alla descrizione di situazioni ben definite, di realtà chiuse o circoscritte, senza prospettive di osmosi liberatorie. Alla fine le vicende dei due protagonisti, quello di estrazione proletaria e l’intellettuale, si amalgamano, essendo entrambe circoscritte nel recinto di un modesto vissuto. In realtà, protagonisti veri della narrazione sono la quotidianità e il deambulare per le strade del centro di Roma. Ed è forse qui che si può cogliere qualche afflato poetico. Il ‘flusso di coscienza’ si attiva nelle riflessioni dell’io che connotano l’intellettuale, mentre ‘l’uomo’ (con una fisionomia facciale alla Lombroso), è il simbolo di una realtà prosaica senza sbocchi. Le descrizioni dei pensieri e dei gesti sono spesso ripetitive per tutti e due i protagonisti. Entrambi coltivano una relazione extra-coniugale, ma quella dell’io risulta non a caso solo vagheggiata, mentre quella dell’uomo è connotata da una materiale realtà. Alla fine le loro strade si incontrano, facendo affiorare una trama che si patina di giallo, anche se ‘La fiammata’ non rientra pienamente in questo genere. Vorrei, alla fine, ricordare che il tema dell’incendio di un deposito di libri si ispira a un fatto di cronaca realmente accaduto, anni fa, a Verona, e che tanto fece parlare e discutere.